Per scaricare ed ascoltare la pia e devota Novena di Natale di Sant'Alfonso Maria de Liguori nel celebre formato audio mp3, cliccare qui.

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Meditazione di S. Alfonso de Liguori tratta da "Meditazioni per l'ottava di Natale e per gli altri giorni sino all'Epifania" in "OPERE ASCETICHE" Vol. IV, pp. 202 - 226, CSSR, Roma 1939

La nascita di Gesù Cristo apportò un'allegrezza generale a tutto il mondo. Egli fu il Redentore desiderato per tanti anni e con tanti sospiri; che perciò fu chiamato il desiderato dalle genti e 'l desiderio de' colli eterni. Eccolo è già venuto ed è nato in una picciola spelonca. Quel gran gaudio che l'angelo annunziò a' pastori, pensiamo che oggi l'annunzii anche a noi e ci dica: Ecce enim evangelizo vobis gaudium magnum quod erit omni populo: quia natus est vobis hodie Salvator (Luc. II, [10, 11]).- Quanta festa si fa in un regno quando nasce al re il suo infante primogenito! Ma maggior festa dobbiamo far noi vedendo nato il Figlio di Dio ch'è venuto dal cielo a visitarci, spinto dalle viscere della sua misericordia: Per viscera misericordiae Dei nostri, in quibus visitavit nos oriens ex alto. Noi eravamo perduti, ed ecco quegli ch'è venuto a salvarci: Propter nostram salutem descendit de caelis. Ecco il pastore ch'è venuto a salvare le sue pecorelle dalla morte, con dar esso la vita per loro amore: Ego sum pastor bonus: bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis (Io. [X], 11). Ecco l'agnello di Dio ch'è venuto a sacrificarsi per ottenere a noi la divina grazia e per rendersi nostro liberatore, nostra vita, nostra luce e anche nostro cibo nel SS. Sacramento. Dice S. Agostino che Gesù Cristo, nascendo, per questo ancora voll'essere posto nella mangiatoia dove trovano il pascolo gli animali, per darci ad intendere ch'egli si e fatt' uomo anche per rendersi cibo nostro: In praesepio, ubi pastus est animalium, sua collocari membra permittit, in aeternam refectionem vescendum a mortalibus suum corpus ostendit. (Tract. XXV, in Io.). Egli di più ogni giorno nasce nel Sagramento per mezzo de' sacerdoti e della consecrazione: l'altare è il presepio ed ivi noi andiamo a cibarci delle sue carni. Taluno desidererebbe di aver il santo Bambino nelle braccia, come l'ebbe il santo vecchio Simeone; ma quando ci comunichiamo, c'insegna la fede che non solamente nelle braccia, ma dentro il nostro petto sta quell'istesso Gesù che stette nel presepio di Betlemme. Egli per questo è nato, per darsi tutto a noi: Parvulus... natus est nobis, et Filius datus est nobis (Is. IX, 6).

La lotta contro l'orgoglio

"L'orgoglio, dice Bossuet, è una depravazione più profonda; per esso l'uomo, abbandonato a se stesso, nell'eccesso dell'amor proprio considera sè come proprio Dio". Dimenticando che Dio è il suo primo principio e il suo ultimo fine, stima eccessivamente se stesso, e le proprie doti vere o pretese riguarda come fossero sue senza riferirle a Dio. Di qui quello spirito d'indipendenza o d'autonomia che lo spinge a sottrarsi all'autorità di Dio i dei suoi rappresentanti; quell'egoismo che lo inclina ad operare per sè come se fosse fine a se stesso; quella vana compiacenza che si diletta nella propria eccellenza, come se Dio non ne fosse l'autore, che si compiace nelle proprie buone opere, come se esse non fossero prima di tutto e principalmente il risultato dell'azione divina in noi; quella tendenza ad esagerare le proprie doti, ad attribuirsene di quelle che non si posseggono, a preferirsi agli altri, e talvolta anche a disprezzarli, come faceva il Fariseo.

A quest'orgoglio s'aggiunge la vanità, che ci fa cercare in modo disordinato la stima altrui, la loro approvazione, le loro lodi: che si chiama anche vana gloria. Perchè, come fa notare Bossuet, "se queste lodi sono false o ingiuste, qual errore di compiacermene tanto! Se poi sono vere, perchè mi diletto io meno della verità che della stima che le rendono gli uomini?" Strana cosa davvero! ci diamo più pensiero della stima degli uomini che della stessa virtù, e si rimane più umiliati d'un granchio preso in pubblico che d'una colpa segreta. Quando uno si abbandona a questo difetto, non tarda a commetterne altri: la millanteria, che inclina a parlar di sè e dei proprii trionfi; l'ostentazione, che cerca d'attirare l'attenzione pubblica col lusso e col fasto; l'ipocrisia, che simula le apparenze della virtù senza darsi pensiero d'acquistarla.

Gli effetti dell'orgoglio sono deplorevoli: è il gran nemico della perfezione: 1) perchè ruba a Dio la sua gloria e ci priva quindi di molte grazie e di molti meriti, non volendo Dio esser complice della nostra superbia: "Deus superbis resistit"; 2) è fonte di numerosi peccati, peccati di presunzione puniti con lagrimevoli cadute, come vizi odiosi; di scoraggiamento quando si vede d'essere caduti così in basso; di dissimulazione, perchè rincresce confessare i proprii disordini; di resistenza ai superiori, d'invidia e di gelosia verso il prossimo, ecc.

B) Il rimedio è: a) riferire tutto a Dio, riconoscendo che egli è l'autore di ogni bene e che, essendo il primo principio delle nostre azioni, ne deve pur essere l'ultimo fine. È ciò che suggerisce S. Paolo 207-1: "Quid habes quod non accepisti? Si autem accepisti, quid gloriaris quasi non acceperis? Che hai tu che non abbi ricevuto? e se l'hai ricevuto, perchè te ne glorii come se non l'avessi in dono?". Onde conchiude che tutte le nostre azioni devono tendere alla gloria di Dio: "Sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis, omnia in gloriam Dei facite" 207-2. E per dar loro maggior valore, procuriamo di farle in nome, nella virtù di Gesù Cristo: "Omne quodcumque facitis in verbo aut in opere, omnia in nomine Domini Jesu Cristi, gratias agentes Deo et Patri per ipsum 207-3; qualunque cosa da voi si faccia in parola o in opera, fate tutto nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo suo".

b) E poichè la natura costantemente ci porta a cercar noi stessi, per reagire contro questa tendenza, bisogna ricordarci che da noi non siamo che nulla e peccato. È vero che ci sono in noi delle buone qualità naturali e soprannaturali che bisogna altamente stimare e coltivare; ma, venendoci queste qualità da Dio, non ne dobbiamo forse glorificar lui? Quando un artista ha fatto un capolavoro, non è forse lui, e non la tela, che si deve lodare?

Or da noi stessi non abbiamo che il nulla: "questo noi eravamo da tutta l'eternità; e l'essere di cui Dio ci ha rivestiti, non da noi viene ma da Dio; e benchè ci sia stato dato, non cessa d'essere pur sempre anche cosa sua, di cui vuol essere onorato".

Da noi stessi siamo pure peccato, nel senso che per ragione della concupiscenza tendiamo al peccato [...]. La nostra natura non è certo intieramente corrotta, come pretendeva Lutero; e col concorso naturale o soprannaturale 208-4 di Dio, può fare qualche bene, e ne fa anche molto, come vediamo nei Santi; ma poichè Dio ne è causa prima e principale, a lui dobbiamo renderne grazie.

Concludiamo dunque con Bossuet 209-1: "Non presumere di te; perchè nella presunzione sta il principio di ogni peccato... Non desiderar la gloria degli uomini; perchè, ottenutala, avresti ricevuta la tua ricompensa e non dovresti poi aspettarti altro che veri supplizi. Non ti gloriare; perchè tutto ciò che ti attribuisci nelle tue opere buone, lo togli a Dio che ne è l'autore e ti metti al suo posto.


(Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista - Desclée & Co., 1928)

Entrare in convento

Per diventare suora, in genere è questa la prassi da seguire: prima si contatta un istituto religioso, poi si va in convento o in monastero per trascorrere alcuni giorni con le suore. Se la vita religiosa vi piace, potete tornare qualche altra volta per fare altre esperienze vocazionali. Quando vi sentirete pronte, potrete chiedere alle suore di essere ammesse nell'istituto, e così inizierete il periodo di aspirantato, poi c'è il postulantato, e poi il noviziato. Durante tutto questo periodo di tempo siete libere di tornarvene a casa vostra qualora non vi sentiate portate per la vita religiosa. Se invece siete pronte per diventare spose di Gesù Cristo, potrete fare finalmente la professione religiosa coi voti temporanei di castità, povertà e obbedienza. Al termine del periodo dei voti temporanei dovrete scegliere se tornare a casa vostra oppure emettere i voti perpetui. 

http://diventaresuora.altervista.org/

Canti di Natale mp3 gratis

Come sono belli i canti di Natale della tradizione cristiana! Vi presento due famosi canti natalizi composti da Sant'Alfonso Maria de Liguori. Questi file mp3 possono essere scaricati gratuitamente grazie ai Padri Redentoristi che li hanno realizzati e messi su internet.

Cliccare sue due titoli sottostanti per ascoltare i file:



Per scaricare i file sul proprio computer, cliccare col tasto destro del mouse su ogni titolo delle canzoncine, e scegliere di salvare il file assegnandogli un nome.

Spero tanto che queste melodie natalizie siano di vostro gradimento. Anche se antiche, hanno conservato intatta la bellezza che non tramonta mai. Molti noi le hanno cantate quando erano bambini, ma continuano a toccare i cuori anche adesso che siamo divenuti adulti.

Vocazione

Visita il sito: Vocazione. È molto importante rispondere alla vocazione. Diceva Sant'Alfonso che "Chi sceglie lo stato a cui Iddio lo chiama, facilmente si salverà; e chi non ubbidisce alla divina vocazione, difficilmente, anzi sarà moralmente impossibile che si salvi. La massima parte di coloro che si son dannati, si son dannati per non aver corrisposto alle chiamate di Dio."

Se i giovani comprendessero la bellezza della vita religiosa pregherebbero incessantemente il Signore di essere "chiamati". Oh quanti in punto di morte si son pentiti di aver vissuti nel mondo! Filippo II, il grande re di Spagna, poco prima di morire disse: "Oh fossi stato frate e non monarca". Anche il figlio, quando giunse in fin di vita disse: "Sudditi miei, nel sermone dei miei funerali, non predicate altro se non questo spettacolo che vedete. Dite che non serve in morte l'esser re, se non per sentire maggior tormento d'esserlo stato". E poi esclamò: "Oh non fossi stato re, e fossi vissuto in un deserto a servire Dio, perché ora andrei con maggior confidenza a presentarmi al suo tribunale, e non mi troverei in gran pericolo di dannarmi!" Tutti i piaceri, i divertimenti e le ricchezze della terra non possono dare la vera pace, anzi chi più è ricco di tali beni in questa vita, vive più tribolato ed afflitto. Il nostro cuore è stato creato per amare Dio, e non può trovar pace sin quando non riposa in Lui. E' più felice un povero eremita in grazia di Dio che una persona ricca e famosa, ma in peccato mortale.

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Meditazioni per li giorni dell'Avvento sino alla novena della nascita di Gesù Cristo

[Meditazioni di Sant'Alfonso Maria de Liguori tratte da "OPERE ASCETICHE" Vol. IV, pp. 141 - 179, CSSR, Roma 1939]

MEDITAZIONE I


Et incarnatus est de Spiritu Sancto... et homo factus est.

Considera come avendo Dio creato il primo uomo acciocché lo servisse ed amasse in questa vita, per condurlo poi nella vita eterna a regnare nel paradiso, a tal fine l'arricchì di lumi e di grazie. Ma l'uomo ingrato si ribellò da Dio, negandogli l'ubbidienza che gli doveva per giustizia e per gratitudine; e così restò il misero con tutta la sua discendenza, qual ribelle privato della divina grazia e per sempre escluso dal paradiso. Ecco dopo questa ruina del peccato, gli uomini tutti perduti. Tutti viveano ciechi fra le tenebre nell'ombra della morte. Su di loro dominava il demonio, e l'inferno continuamente ne faceva una strage innumerabile. Ma Dio guardando gli uomini ridotti in questo sì miserabile stato, mosso a pietà, risolve di salvarli. E come? Non manda già un angelo, un serafino, ma per manifestare al mondo l'immenso amore che portava a questi vermi ingrati, misit Filium suum in similitudinem carnis peccati (Rom. VIII, 3). Mandò il suo medesimo Figlio a farsi uomo ed a vestirsi della stessa carne degli uomini peccatori, acciocch'egli colle sue pene e colla sua morte soddisfacesse la divina giustizia per li loro delitti, e così gli liberasse dalla morte eterna; e riconciliandoli col suo divin Padre, loro ottenesse la divina grazia e li rendesse degni di entrare nel regno eterno. - Pondera qui da una parte la ruina immensa che reca il peccato all'anime, mentre le priva dell'amicizia di Dio e del paradiso e le condanna ad un'eternità di pene. Pondera dall'altra l'amore infinito di Dio che dimostrò in questa grand'opera dell'Incarnazione del Verbo, facendo che il suo Unigenito venisse a sacrificar la sua vita divina per mano di carnefici su d'una croce, in un mar di dolori e di vituperi, per ottenere a noi il perdono e la salute eterna. Ah che contemplando questo gran mistero e questo eccesso dell'amore divino, ognuno non dovrebbe far altro che esclamare: O bontà infinita! o misericordia infinita! o amore infinito! un Dio farsi uomo per venire a morire per me!

MEDITAZIONE II

Et Verbum caro factum est (Io. I, 14).

Il Signore mandò S. Agostino a scrivere sul cuore di S. Maria Maddalena de' Pazzi le parole, Verbum caro factum est. Deh preghiamo ancora noi il Signore che c'illumini la mente e ci faccia intendere quale eccesso e qual prodigio d'amore è stato questo che il Verbo Eterno, il Figlio di Dio siasi fatt'uomo per nostro amore. La Santa Chiesa si spaventa in contemplare questo gran mistero: Consideravi opera tua et expavi (Resp. 3, Noct. 2, in Circ. Dom.). Se Dio avesse creati mille altri mondi, mille volte più grandi e più belli del presente, è certo che quest'opera sarebbe infinitamente minore dell'Incarnazione del Verbo: Fecit potentiam in brachio suo. Per eseguire l'opera dell'Incarnazione vi ha bisognata tutta l'onnipotenza e sapienza infinita di un Dio, in fare che la natura umana si unisse ad una persona divina; e che una persona divina si umiliasse a prender la natura umana; sicché Dio diventò uomo e l'uomo diventò Dio; ed essendosi congiunta la divinità del Verbo all'anima ed al corpo di Gesù Cristo, diventarono divine tutte le azioni di questo Uomo Dio: divine le sue orazioni, divini i patimenti, divini i vagiti, divine le lagrime, divini i passi, divine le membra, divino quel sangue per farne un bagno di salute a lavare tutti i nostri peccati, ed un sacrificio d'infinito valore a placare la giustizia del Padre giustamente sdegnato cogli uomini. E chi mai sono questi uomini? Misere creature, ingrate e ribelli. E per questi un Dio farsi uomo! Soggettarsi alle miserie umane! Patire e morire per salvare quest'indegni! Humiliavit semet ipsum, factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis (Philipp. II, 8). Oh santa fede! Se la fede di ciò non ci assicurasse, chi mai potrebbe credere che un Dio d'infinita maestà siasi abbassato a farsi verme come noi, per salvarci a costo di tante pene ed ignominie e d'una morte così spietata e vergognosa? Oh gratiam! oh amoris vim! grida S. Bernardo. O grazia che mai avrebbero potuto neppure immaginarsela gli uomini, se Dio stesso non avesse pensato di farcela! O amore divino che non potrà mai comprendersi! O misericordia! O carità infinita, degna solamente d'una bontà infinita!

MEDITAZIONE III

Sic... Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret (Io III, 16.).

Considera come l'Eterno Padre dandoci il Figlio per Redentore, per vittima e per prezzo del nostro riscatto, non poteva darci motivi più forti di speranza e d'amore, per darci confidenza e per obbligarci ad amarlo. Egli donandoci il Figlio, dice S. Agostino, non sa né ha più che donarci. Egli vuole che noi ci avvagliamo di quest'immenso dono, a fine di guadagnarci la salute eterna ed ogni grazia che ci bisogna; mentre in Gesù noi troviamo quanto possiamo desiderare: troviamo luce, troviamo fortezza, pace, confidenza, amore e gloria eterna; essendoché Gesù Cristo è un dono che contiene tutti i doni che possiamo cercare e desiderare. Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit?,(Rom. VIII, 32). Avendoci Iddio donato il suo diletto Unigenito ch'è il fonte e tesoro di tutti i beni, chi può temere che voglia negarci qualunque grazia che gli cerchiamo? Christus Iesus factus est nobis sapientia a Deo, et iustitia et sanctificatio et redemptio (I Cor. I, 30). Iddio ce l'ha donato acciocché a noi ignoranti e ciechi ci fosse luce e sapienza per camminare nella via della salute: a noi rei dell'inferno fosse giustizia per aspirare al paradiso: a noi peccatori, santificazione per ottenere la santità: a noi finalmente schiavi del demonio, riscatto per acquistare la libertà de' figli di Dio. In somma, dice l'Apostolo che con Gesù Cristo noi siamo stati fatti ricchi di ogni bene e di ogni grazia, se la domandiamo per li meriti suoi. In omnibus divites facti estis..., ita ut nihil vobis desit in ulla gratia (I Cor. I, [5, 7]). E questo dono che ci ha fatto Dio del suo Figlio è un dono fatto a ciascuno di noi; poich'egli l'ha donato tutto ad ognuno, come se a lui solo fosse stato donato; sicché ognuno di noi può dire: Gesù è tutto mio, mio è il suo corpo, il suo sangue; mia è la sua vita, i suoi dolori, la sua morte, miei sono i suoi meriti. Perciò diceva S. Paolo: Dilexit me et tradidit semetipsum pro me (Gal. II, 20). E lo stesso può dire ciascuno: Il mio Redentore ha amato me, e per l'amore che mi ha portato si è dato tutto a me.

MEDITAZIONE IV

Ubi venit plenitudo temporis, misit Deus Filium suum (Gal. IV, 4).

Considera come Dio lascio passare quattro mila anni dopo il peccato di Adamo prima di mandare in terra il suo Figlio a redimere il mondo. E frattanto, oh quali tenebre di ruina regnavano sulla terra! Il vero Dio non era conosciuto né adorato, se non appena in un angolo del mondo. Da per tutto regnava l'idolatria, sicché erano adorati per dei i demoni, le bestie e le pietre. Ma ammiriamo in ciò la divina sapienza; ella differisce la venuta del Redentore per renderla agli uomini più gradita: la differisce acciocché si conosca meglio la malizia del peccato, la necessità del rimedio e la grazia del Salvatore. Se subito dopo il peccato di Adamo fosse venuto Gesù Cristo, poco si sarebbe stimata la grandezza del beneficio. Ringraziamo dunque la bontà di Dio per averci fatti nascere dopo che già si è compiuta la grand'opera della Redenzione. - Ecco è già venuto il tempo fortunato che fu chiamato la pienezza del tempo: Ubi venit plenitudo temporis, misit Deus Filium suum... ut eos qui sub lege erant redimeret. Si dice plenitudo, per la pienezza della grazia che 'l Figlio di Dio venne a comunicare agli uomini per mezzo della Redenzione. Ecco già si manda l'angelo ambasciatore nella città di Nazarette alla Vergine Maria ad annunziarle la venuta del Verbo che vuole incarnarsi nel suo utero. L'angelo la saluta, la chiama piena di grazia e la benedetta tra le donne. Ella, l'eletta per Madre del Figlio di Dio, l'umile verginella si turba a queste lodi per ragion della sua grand'umiltà; ma l'angelo le fa animo e le dice ch'ella ha trovata la grazia appresso Dio: cioè quella grazia che importava la pace tra Dio e gli uomini, e la riparazione della ruina cagionata dal peccato. Le avvisa poi il nome di Salvatore che dee imporre a questo suo Figlio: Vocabis nomen eius Iesum; e che questo suo Figlio era lo stesso Figlio di Dio che dovea redimere il mondo, e così regnare sopra i cuori degli uomini. Ecco finalmente che Maria accetta l'esser Madre di tal Figlio: Fiat mihi secundum verbum tuum. E il Verbo Eterno prende già carne e diventa uomo: Et Verbum caro factum est.

Ringraziamo questo Figlio, e ringraziamo ancora questa madre che in accettare d'esser Madre d'un tal Figlio accettò l'essere madre della nostra salute e madre insieme di dolori, accettando allora tutto l'abisso de' dolori che dovea costarle l'esser Madre d'un tal Figlio venuto a patire e morire per gli uomini.

MEDITAZIONE V

Formam servi accipiens (Philipp. Il, 7).

Discende in terra il Verbo Eterno a salvare l'uomo, e donde discende? A summo caelo egressio eius (Ps. XVIII, 7). Discende dal seno del suo Padre divino, dove ab eterno fu generato tra gli splendori de' santi. E dove discende? Discende nel seno d'una vergine, figlia di Adamo, che a riguardo del seno di Dio non è che un orrore; onde canta la Chiesa: Non horruisti virginis uterum. Sì, perché il Verbo, stando nel seno del Padre, egli è Dio come il Padre, è immenso, onnipotente, felicissimo, e supremo signore ed in tutto eguale al Padre. Ma nel seno di Maria egli è creatura, è piccolo, è debole, è afflitto, è servo, ed è minore del Padre: Formam servi accipiens. Narrasi per gran prodigio d'umiltà di un S. Alessio, che da figlio di un signor romano, volle vivere da servo in casa del padre. Ma che ha che fare l'umiltà di questo santo coll'umiltà di Gesù Cristo? Tra figlio e servo del padre di S. Alessio vi era qualche differenza di condizione; ma tra Dio e servo di Dio vi è una differenza infinita. In oltre, questo Figlio di Dio, essendosi fatto servo del suo Padre, esso per ubbidirlo si fece anche servo delle sue creature, cioè di Maria e di Giuseppe: Et erat subditus illis (Luc. II, 51). In oltre si fece anche servo di Pilato che lo condannò alla morte, ed egli ubbidiente l'accettò; si fe' servo de' carnefici che vollero flagellarlo, coronarlo di spine e crocifiggerlo, ed egli a tutti umilmente ubbidì sottomettendosi alle loro mani.

Oh Dio, e noi ricuseremo poi di soggettarci alla servitù di questo amabile Salvatore che per salvarci si è soggettato a tante servitù così penose e indecorose? E per non esser servi di questo così grande e così amante Signore, ci contenteremo di farci schiavi del demonio che non ama già i suoi servi, ma li odia e li tratta da tiranno, rendendoli infelici e miseri in questa e nell'altra vita? Ma se abbiamo commessa questa gran pazzia, perché non usciamo presto da questa così infelice servitù? Via su, giacché siamo stati liberati per la grazia di Gesù Cristo dalla schiavitù dell'inferno, deh presto abbracciamo e stringiamo con amore quelle dolci catene che ci rendono servi ed amanti di Gesù Cristo, e che ci otterranno poi la corona del regno eterno tra' beati nel paradiso.

MEDITAZIONE VI

Creavit Dominus novum super terram (Ier. XXXI, 22).

Prima della venuta del Messia, il mondo stette sepolto in una notte tenebrosa d'ignoranza e di peccati. Nel mondo appena era conosciuto il vero Dio in un solo angolo della terra, cioè nella sola Giudea: Notus in Iudaea Deus (Ps. LXXV, 2). Ma per tutto il resto si adoravano per dei i demoni, le bestie e le pietre. Vi era per tutto la notte del peccato, il quale acceca l'anime e le riempie di vizi e le priva della vista del miserabile loro stato in cui vivono, nemiche di Dio, condannate all'inferno. Posuisti tenebras et facta est nox; in ipsa pertransibunt omnes bestiae silvae (Ps. CIII, 20). Da queste tenebre venne Gesù a liberare il mondo: Habitantibus in regione umbrae mortis, lux orta est eis (Is. [IX, 2]). Lo liberò dall'idolatria con dar luce del vero Dio; e lo liberò dal peccato colla luce della sua dottrina e de' suoi divini esempi: In hoc apparuit Filius Dei, ut dissolvat opera diaboli (I Io. III, 8). -Predisse il profeta Geremia che Dio dovea creare il Redentore degli uomini: Creavit Dominus novum super terram (XXXI, 22). Questo bambino nuovo fu Gesù Cristo. Egli è il Figlio di Dio che innamora il paradiso, ed è l'amore del Padre il quale così ne parla: Hic est Filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui (Matth. XVII, 5). E questo Figlio e quello che si è fatto uomo. Bambino nuovo, mentr'egli ha data più gloria ed onore a Dio nel primo momento ch'è stato creato, che non gli han data né sarannoper dargli tutti gli angeli e santi insieme per tutta l'eternità. Che perciò nella nascita di Gesù cantarono gli angeli: Gloria in excelsis Deo. Ha renduto più gloria a Dio Gesù bambino, che non gli tolsero tutti i peccati degli uomini. Facciamo animo dunque noi poveri peccatori, offeriamo all'Eterno Padre questo bambino, presentiamogli le lagrime, l'ubbidienza, l'umiltà, la morte ed i meriti di Gesù Cristo, e ricompenseremo a Dio tutto il disonore che gli abbiam fatto colle nostre offese.

MEDITAZIONE VII

Deus Filium suum mittens in similitudinem carnis peccati, et de peccato damnavit peccatum in carne (Rom. VIII, 3).

Considera lo stato umile a cui volle abbassarsi il Figlio di Dio; non solo volle prendere la forma di servo, ma anche forma di servo peccatore, in similitudinem carnis peccati. Onde scrisse S. Bernardo: Non solum formam servi accipiens ut subesset, sed etiam mali servi ut vapularet. Non solo volle assumere la condizione di servo per soggettarsi agli altri chi era il signore di tutti; ma ancora la sembianza di servo delinquente per esser castigato qual malfattore chi era il santo de' santi. A tal fine volle vestirsi di quella stessa carne di Adamo ch'era stata infettata dal peccato. E sebbene egli non contrasse la macchia del peccato, nulladimeno si addossò tutte le miserie che la natura umana avea contratte in pena del peccato. Il nostro Redentore per ottenere a noi la salute si offerì volontariamente al Padre a soddisfare per tutte le nostre colpe: Oblatus est quia ipse voluit (Is. LIII, 7). E 'l Padre lo caricò di tutte le nostre scelleraggini: Posuit... in eo iniquitatem omnium nostrum (Ibid. 6). Ed ecco il Verbo divino, innocente, purissimo, santo, eccolo sin da bambino carico di tutte le bestemmie, di tutte le laidezze, di tutti i sacrilegi e di tutti i delitti degli uomini; fatto per amor nostro l'oggetto delle divine maledizioni, per ragion de' peccati per cui s'era egli obbligato a pagare la divina giustizia. Sicché tante furono le maledizioni che si addossò Gesù Cristo, quanti sono stati e saranno i peccati mortali di tutti gli uomini. E tale egli si presentò al Padre, venuto che fu al mondo, sin dal principio del suo vivere; si presentò qual reo e debitore di tutti i nostri misfatti, e come tale fu dal Padre condannato a morir giustiziato e maledetto su d'una croce: Et de peccato damnavit peccatum in carne. - se l'Eterno Padre fosse stato capace di dolore, qual pena mai provata avrebbe in vedersi costretto a trattare da reo, e da reo il più malvagio del mondo, quel Figlio innocente, il suo diletto ch'era ben degno di tutto il suo amore! Ecce homo, disse Pilato quando lo dimostrò a' Giudei flagellato per muoverli a compassione di quell'innocente così maltrattato. Ecce homo, par che l'Eterno Padre dica a tutti noi dimostrandocelo nella stalla di Betlemme. Questo povero bambino, dice, che voi vedete, o uomini, posto in una mangiatoia di bestie e steso sulla paglia, sappiate che questo è il mio Figlio diletto ch'è venuto a prendersi sopra di sé i vostri peccati e le vostre pene; amatelo dunque, perché troppo è degno del vostro amore e troppo v'ha obbligati ad amarlo.